Euro/dollaro a breve, in attesa di considerazioni sul 2012

L’andamento del cambio euro/dollaro continua ad essere connotato da una rilevante ambiguità per l’ancora scarsa rispondenza alle drammatiche vicende della crisi in zona euro. Difficile, peraltro, accettare l’idea, talvolta propagandata, di una debolezza dell’euro, visto che quest’ultimo si trova sempre in aree di prezzi estreme, da un punto di vista storico, se si eccettuano i livelli raggiunti nella prima parte del 2008.

Il supporto di banche centrali o fondi sovrani (o forse smobilizzi di assets esteri da parte di istituzioni europee) potrebbe di nuovo aver impedito più sensibili discese del tasso di cambio, come già avvenuto in passato, stando a ripetute cronache finanziarie che hanno riferito soprattutto della Cina, in veste di costante acquirente della nostra moneta, nei momenti più difficili.

Torniamo a ricordare le nostre previsioni di primavera in merito ad una quotazione in area 1.2900-1.2800 entro l’anno, sulla base di un pronosticato aumento dell’avversione al rischio.

L’andamento di breve termine, tuttavia, tra ora e le prossime settimane, appare difficilmente prevedibile. Da un lato il recente ritorno al rialzo di yen e franco svizzero farebbe pensare di nuovo all’imminenza di un’altra fase difficile sui mercati, mentre la ripresa di dollaro australiano, canadese, neozelandese parrebbe preludere ad una rinnovata propensione al rischio.

Visti i tempi che stiamo vivendo, nessuna ipotesi si può escludere, nel breve termine, neppure quella pur poco verosimile di un ritorno ad 1.5000 cosa che, proprio per la sua scarsa probabilità teorica di avverarsi, farebbe strage di tutti quegli operatori ribassisti che, sull’onda della crisi europea, continuano a cercare la strada di un marcato ribasso della moneta unica.

Un’altra ipotesi potrebbe essere quella di un temporaneo andamento in range 1.4000-1.3400 (idea che proponemmo più di un mese fa) in attesa di soluzioni decisive alla crisi.

La terza potrebbe invece vedere di nuovo un movimento ribassista improvviso, legato ancora una volta ad un significativo aumento dell’avversione al rischio, con obbiettivo iniziale l’area 1.2900.

Queste tre ipotesi per il breve hanno, ovviamente, gradi di probabilità di realizzarsi molto diversi.

Aggiungiamo la solita banale considerazione sul sentimento e sul tipico andamento dei mercati: i movimenti di prezzo più ampi avvengono sempre quando la grande maggioranza dei traders è posizionata in modo poco coerente e rispondente rispetto allo scenario di fondo, contrariamente agli operatori professionali di maggior peso. Si pensi ad esempio alle recenti fasi di liquidazione di massa sul mercato dei metalli oppure, più lontano nel tempo, al crollo della moneta unica avvenuto tra fine 2009 ed inizio 2010 quando iniziò a profilarsi la crisi greca. Oggi non è proprio lo stesso caso ed è solo per questo motivo che abbiamo preso in considerazione anche l’ipotesi apparentemente più inverosimile, ovvero un possibile ritorno della moneta unica a 1.5000 tale da ripulire il mercato dalle mani più deboli.

Nel più lungo termine, peraltro, non è un mistero che continuiamo a preferire l’opzione di un significativo ribasso dell’euro e delle altre maggiori valute contro il dollaro USA. Non solo per la possibilità di aumento dell’avversione al rischio, ma anche per l’eventuale approvazione americana del cosiddetto “Homeland Investment Act” che porterebbe un rilevante beneficio fiscale alle aziende statunitensi in caso di rimpatrio di utili detenuti all’estero. Si noti che, in tale ultimo caso, l’effetto del possibile rialzo del dollaro sui prezzi delle commodities sarebbe certamente meno forte che nell’eventualità di rialzi dovuti ad improvvise impennate del livello di avversione al rischio.

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